Effetti collaterali: ma cos’è ‘sta Biodiversità?

L’argomento del numero mi dà l’opportunità di parlare di un argomento biologico di cui si chiacchiera molto, riempiendosi la bocca con questo parolone sonoro e leggermente cacofonico (“Biodiversità” – non sembra, pronunciando la parola, di avere la classica patata in bocca?), senza conoscerne a fondo il significato. Un po’ come il Moby Dick di Melville, il romanzo che tutti citano ma quasi nessuno ha letto. Ma anche come la Moby Dick di Melville, la balena avvolta dal mistero, che Achab cerca in giro per il mondo.

biodiversità

Mi pare di sentire una domanda spontanea: “Sì, ma cosa c’entrano gli effetti collaterali?”. Lasciatemi andare avanti con ordine, vedremo che la biodiversità stessa è in qualche modo un effetto collaterale.

Dunque cos’è questa balena bianca? Biodiversità o diversità biologica è la variabilità tra gli organismi viventi di tutti gli ambienti; inclusi tra gli altri gli ecosistemi terrestri, acquatici e marini e i  complessi ecologici di cui essi sono parte. Questo comprende la diversità all’interno delle specie, tra le specie e negli ecosistemi. La definizione è quella della Convention on Biological Diversity del 1992, trattato internazionale che si poneva proprio lo scopo di proteggere la biodiversità.

Di solito nel tentativo di semplificare si riduce la biodiversità al numero di specie presenti in ogni ecosistema, ma il concetto di diversità biologica in realtà è più complesso, e va dal microscopio al grande, dal locale al globale, dal cellulare all’ecosistemico.

A livello microscopico possiamo considerare come diversità biologica di un dato ambiente tutte le varianti presenti dei geni dei singoli animali o piante, numeri enormi, se pensiamo che una sola specie ha decine di migliaia di geni.

A livello di specie la diversità come è comunemente intesa si misura contando il numero di specie presenti. Un ecosistema sarà più ricco in diversità se ha più specie. Questo discorso però apre altri problemi: di solito i biologi stimano la diversità totale a partire dalla conta del numero di specie in un gruppo che conoscono bene, o che è più conosciuto di altri, ma la carenza attuale di sistematici fa sì che almeno per certi gruppi di organismi di taglia piccola o microscopica le nostre conoscenze siano molto limitate. Secondo alcune stime dobbiamo ancora descrivere l’86% delle specie terrestri e ben il 91% delle specie marine, e ho detto tutto.

Zoomiamo all’indietro. Abbracciamo cioè con uno sguardo più “grandangolare” gli ecosistemi, cerchiamo di comprenderli. Qui si presenta una nuova difficoltà, per un ecologo non tutte le specie sono uguali, anzi per dirla alla Orwell ci  sono specie più uguali di altre. Sono le cosiddette specie chiave, che anche se in numero ridotto controllano e regolano tutto l’ecosistema. Esempio i superpredatori, ma non solo, ci sono anche in alcuni ecosistemi erbivori-chiave, o negli ecosistemi terrestri impollinatori-chiave.

In una corretta politica conservazionista le specie chiave vanno protette con attenzione. Il recente depauperamento delle verdesche e di altri squali, predatori di vertice, ha portato ad un aumento numerico di predatori di livello inferiore, come tonni e razze, con un effetto a cascata che porta infine a una riduzione dei molluschi nell’Atlantico settentrionale. E si potrebbero fare altri esempi: il depauperamento di un predatore di vertice a cascata produce effetti inattesi.

 

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