La distanza tra le stelle: Alvah e M’Paddata

Avevo compiuto dodici anni un mese prima, a giugno.

A fine luglio finalmente, dopo anni di respiri clandestini rubati alla riserva del bibo paterno era giunto finalmente il mio momento.

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Il mio primo mono-bombola da 10 litri era carico a 200bar, poco ci mancava che pesasse quanto me. Allora mi trovavo in Spagna con la mia famiglia, alle Isole Medas. Il mio primo istruttore è stato un profondista cubano che faceva assistenza, oltre i -100m a Pipin Ferreras. Un giorno, al termine del corso Open Water, mi consegnò il mio primo brevetto subacqueo: il limite di profondità era fissato a -18m.

L’inizio di un mondo nuovo si apriva dinanzi ai miei occhi. Cernie giganti, gorgonie, barracuda, astici dalle chele tanto grandi da abbracciarti e poi archi e grotte che si aprivano e chiudevano nella montagna subacquea.

Dal luglio 1997 a oggi, di acqua sotto le pinne ne è passata, e tanta.

Durante la mia carriera subacquea ho visto luoghi meravigliosi del mondo, ho incontrato squali leggendari, ho toccato con mano relitti da sogno, ho strusciato la muta lungo rocce di grotte gelide o di miniere più nere del carbone, ho avuto la fortuna di immergermi in molti mari e altrettanti oceani. Eppure, non ho mai più riprovato quella magica sensazione estiva di 23 anni prima. Mai, fino a fine settembre 2020.

Un giorno sono stato invitato da Paolo Barone, il titolare dello storico Scilla Divers ad immergermi in sua compagnia alla secca della M’Paddata, in Calabria.

Lì, quel giorno, qualcosa è cambiato.

 

“Ti porto all’arco”, è iniziata così la mia avventura.

Da tempo avevo voglia di fare un’immersione ad aria profonda con tempi di fondo prolungati. Volevo godermi i colori psichedelici di Scilla alla maniera dei Rolling Stones, e quell’occasione è stata la miglior offerta subacquea che potessi ricevere.

Non è stata una semplice immersione tra le gorgonie bicolori, in compagnia di amici, che gratificano il tempo trascorso insieme. La secca della M’Paddata è stato un viaggio mentale.

L’arco lo incontri intorno a-55m. Lì si apre una crepa nella lama del fondale marino.

Una volta dentro questo portale, la volta colorata è punteggiata di vita marina. Inizia un viaggio che ti conduce verso la selva delle “stelle” sottostanti: si entra in una nuova dimensione onirica e immaginifica. Il sogno etereo dell’acqua satura di blu ti abbraccia.

I miei compagni di immersione scendono con rebrather: Marco Mori e Paola Lazzerini sono portatori di luce, mentre il resto della compagine si immerge in trimix. Paolo Barone con Cristina Condemi e Santi Cassisi sono già scivolati oltre la soglia dell’arco, a quote più profonde. Mi fermo dentro un’ansa, sul lato destro, intono a -60m per qualche tempo. Mi godo appieno le fette di luce che tagliano il passaggio roccioso, in tutte le direzioni. Guardo gli altri scivolare oltre, andare via, verso la prateria di paramuricee clavate che trapuntano il fondale degli oltre meno settanta metri.

Dentro questa culla di roccia sosto per diversi minuti. È stato come tornare bambino, per un lunghissimo eterno istante: ho riprovato la stessa sensazione di quel giorno, alle isole Medas, di tanti anni addietro.

Lo stupore delle cose elementari, la semplicità dei colori e della luce. Mi avvolge una voglia di non uscire più da questo spazio ovattato che, mi protegge nel suo manto blu cobalto.

L’articolo completo è su ScubaZone 56

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