Nei miei ricordi è ben presente l’immagine di tutte quelle antenne disposte in file nelle fenditure delle scogliere sommerse; estremità sensoriali in continuo movimento che alla luce di un faro si accendevano di rosso e arancio svelando i segreti dei nascondigli delle aragoste.
Da quando frequento il mare sott’acqua ho sempre avuto sporadici ed occasionali incontri con quello che è considerato il più noto e il più nobile di tutti i crostacei. Sto parlando, com’è facile intuire, dell’aragosta: un animale che ha subito, nell’ultimo ventennio, una drastica rarefazione, per motivi che son da ricercare esclusivamente nel suo indiscriminato prelievo da parte del mefistofelico e stolto essere umano, che ne sta provocando l’inevitabile estinzione.
Piatto nobile sin dall’antichità, ha stregato il palato degli umani che la considerano, da sempre, cibo pregiato. Ho frequentato fondali tra i più diversi nel Mediterraneo ed ho fatto appena in tempo a vedere l’aragosta nel suo ambiente, grande privilegio.
Ricordo le aragoste di taglia discreta in colonie, una accanto all’altra, lungo le spacche orizzontali delle scogliere profonde di Capo Caccia, ad Alghero (in Sardegna ci sono sempre state tante aragoste), con le lunghe antenne che trovavano spazio all’ombra delle fitte ramificazioni di gorgonie rosse; uno spettacolo difficile da dimenticare, una situazione oggi sempre più rara.
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