Perché diventare Tec?

Un po’ di anni fa, ero un novello psicologo dello sport, fresco di laurea dopo tre anni di internato, e non vedevo l’ora di mettere in pratica i miei studi.

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Uno dei miei primi incarichi fu con una squadra di motociclismo: lavoravo con i giovanissimi, 13-14 anni, e su fino ai senior. I giovani, secondo l’età, correvano nelle classi 125cc e 250cc, per poi essere ammessi alle corse del Supersport World Championship, e infine, ma solo i pochi migliori, al Gran Prix di Motociclismo.

Al primo incontro con la squadra iniziai con un errore classico: un’assunzione sbagliata. Pensavo di dover considerare argomenti legati ai pericoli, alla velocità e ai rischi delle gare di motociclismo – forse per sviluppare strategie per gestire cali di concentrazione legati al rischio (o intrusioni cognitive, in linguaggio psicologico) in seguito a una momentanea perdita di controllo, o un sorpasso, eccetera. Niente poteva essere più lontano dalla realtà.

Delle stesse false assunzioni spesso sono vittime quelli che scoprono che io mi immergo in grotta o in immersioni profonde con miscele. Mi vedono come un drogato da adrenalina, o uno che cerca il brivido. Se dico in giro che mi piace immergermi con gli squali, si guardano attorno cercando un’infermiera o una camicia di forza. A quel punto, anche se tento di spiegare quanto sforzo metto nella sicurezza, è come se io fossi un pazzo che non capisce il rischio, o un eroe vestito di gomma.

La mia attuale esperienza nella preparazione e nell’immersione con alcuni tra i migliori speleosub e sub tecnici mi ha mostrato che esistono parallelismi con i piloti motociclisti e di rally con cui ho lavorato. Nessuno di loro cercava il brivido, al contrario, senza ignorare o cancellare il rischio, lo valutavano freddamente e con calma per formulare strategie e risposte, per trattare col rischio. Una volta che lo avessero gestito, le loro menti a livello conscio e subconscio potevano mettere a fuoco il vero obiettivo… vincere.

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