Polpi su Marte

Julius, il capo dei polpi si arrampicò in cima al sasso semiaffiorante e guadò su. In quasi un anno l’atmosfera, da quel brutto color cipria che era, s’era fatta verdognola.

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I cianobatteri avevano fatto un bel lavoro: utilizzando i minerali prodotti dai gamberetti morti e degli escrementi d’un po’ tutta la colonia, s’erano sforzati di produrre ossigeno a più non posso. Per darsi la carica s’erano messi a cantare. Era una canzone a cappella che solo i polpi potevano udire, già i gamberetti non ci riuscivano. Ma dopo un anno di quella solfa dall’alba al tramonto Julius, come tutti gli altri polpi, non ne poteva più. Se l’avesse saputo avrebbe imbarcato sulle astronavi rubate ai terrestri solo cianobatteri muti, ma ormai era andata così.

Dopo aver sbuffato un paio di volte dai sifoni raccolse i tentacoli sotto di sé, un po’ come fanno i gatti quando pensano intensamente. Ciò che lo preoccupava non era il dover sopportare i cianobatteri, ma una faccenda molto più complessa: doveva prendere una decisione vitale per tutta la colonia. Non gli restava che interpellare l’indovino del gruppo, che ovviamente si chiamava Paul, e non gli stava neanche simpatico. Da quando aveva azzeccato gli oroscopi di un bel po’ di polpesse era diventato il più ricco ed influente di tutta la colonia.

Con le donazioni s’era costruito una tana coi gusci di conchiglia più pregiati, e anche i maschi, che non credevano agli oroscopi, gli lasciavano i gamberetti migliori per ingraziarselo; le femmine seguivano pedissequamente i suoi consigli sugli accoppiamenti e non era il caso di metterselo contro. Brutus, un polpo dal grande senso pratico: era riuscito a manomettere Curiosity ma da quando aveva messo in dubbio le capacità di Paul languiva in solitudine. Con riluttanza andò a chiamarlo.

Il resto del racconto di Claudio Di Manao è su Scubazone 50

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