Salty dog

L’odore pungente nell’aria è quello del carbone. Viene dalle caldaie delle case, tutte di arenaria scurita. Salgo in macchina e oltrepasso il porto. C’è bassa marea e le imbarcazioni sono tutte sparite sotto le banchine. Guido verso il promontorio sulla costiera deserta, case, poi un prato che s’interrompe a metà cielo. Non ho mai visto il mare aperto, solo le acque nerastre del porto. Scendo nel parcheggio deserto. La zaffata delle alghe all’asciutto, le grida dei gabbiani, mi saltano addosso. Sotto le nuvole il mare è scuro, quasi incolore. Sul lato della spiaggia le onde si stendono e si ritirano lentamente e il vento smuove la vegetazione sulle dune, fitta come una capigliatura.

Allora mi salta in mente una vecchia canzone. È Salty Dog, dei Procol Harum. Suona nella mia testa e s’infila sotto i pensieri. Domani la prima immersione in quel mare cupo. Sento una mano sulla spalla.

asaltydog

  • Ti ci abituerai.

Il Mare del Nord non lo vedrò mai più così piatto. Siamo in mare aperto, ma sembra di essere ancora nella foce del fiume. L’obiettivo è un relitto. Scendiamo aggrappati alla catena dell’ancora. L’acqua è verdognola e la corrente strappa, la senti tutta nei muscoli dorsali. Arrivo in fondo e tocco un oggetto con la mano inguantata. Sì, è metallo. Il relitto è un fantasma nella nebbia, le stive scoperchiate. Saliamo e verso l superficie un’ombra, non è la barca. Se ne sta lì, come immobile, con la bocca spalancata che sembra il motore di un jet, una bestia di almeno sei metri. Lo squalo elefante si muove con una grazia irreale, quasi a punto fermo a pochi metri da noi. Sta mangiando, sta filtrando plancton. Una visione preistorica nella nebbia densa di nutrienti. Torniamo a bordo. Ridono tutti, mi indicano.

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